Treviso luglio 2004
Qualche considerazione (utopistica?) sullo
sviluppo.
In
un panorama complesso come quello attuale, in cui si contrappongono le idee e le
tesi più contrastanti, e in cui è sempre più difficile trovare punti di
incontro, propongo all’attenzione di chi legge qualche sintetica considerazione
in materia di sviluppo, partendo da quelli che a mio avviso sono gli obiettivi
prioritari da perseguire.
Si tratta
principalmente di:
1) miglioramento
complessivo della qualità della vita;
2) miglior controllo
del livello e dell’efficienza della spesa pubblica;
3) verifica della
sostenibilità del grado di produttività del nostro sistema.
1.
Qualità della vita.
Non avrebbe alcun senso rispettare tutti i
parametri tecnici ed economici se la qualità della vita di gran parte della
popolazione fosse scadente e tendenzialmente lo diventasse sempre di più.
Qualsiasi ipotesi di sviluppo, salvo che si voglia inopportunamente limitarla
ad una ristretta cerchia di soggetti, non può che partire da livello di vita
della popolazione (e dalla correlata percezione di tale livello).
Il miglioramento della qualità della vita presuppone
una costante attenzione verso il soddisfacimento di diverse esigenze; fra
l’altro:
a.
autonomia relativa (1) nella produzione delle fonti
energetiche e delle materie prime (sia agricole, sia primarie);
b.
massima vigilanza sulle risorse per il soddisfacimento
delle necessità primarie (in ordine sparso: acqua, istruzione e educazione,
ambiente, smaltimento dei rifiuti, salute, giustizia, sicurezza, lavoro,
assistenza, socialità, cultura nonché infrastrutture informatiche, tecniche e
logistiche; ecc.);
c.
attento monitoraggio del clima sociale, che non è
solo relativa pace sindacale ma anche e soprattutto verifica del clima sociale
nel suo complesso (immigrazione, armonia fra generazioni e fra le diverse
componenti della popolazione; misurazione del livello di soddisfazione dei
cittadini, sviluppo della componente educativa dei mezzi di comunicazione di
massa). Una specifica azione di recupero dovrebbe poi essere condotta nei
confronti di chi vive ai margini della vita sociale, di chi ha avuto guai con
la giustizia e soprattutto dei familiari di questi ultimi che lo necessitino.
(2)
d.
promozione di una reale uguaglianza fra i
cittadini: sembra fuori luogo che nel terzo millennio si ritorni a parlare del
principio di eguaglianza, rivendicato durante la Rivoluzione francese e ripreso
dalla nostra Costituzione. In questo contesto mi riferisco soprattutto ad una
sostanziale parità di condizioni nella competizione sociale. Bisognare sfatare
la validità di costumi a cui siamo diventati troppo avvezzi: la raccomandazione,
la copertura o l’appoggio politico. Non è vero che tali fenomeni, anche quando
“positivi”, non provochino danni. Li provocano eccome: se non altro la
competizione si sposta dal piano delle capacità personali, tecniche e
professionali all’appartenenza ai “giri” di un certo livello, con nocumento del
livello di efficienza e della stessa competitività. L’esagerazione di tali
comportamenti e la mentalità che ne consegue tendono a rendere le forme di
governo repubblicane e democratiche simili alle altre forme di governo,
ritenute meno positive.
Si tratta di apportare, specie in alcuni casi,
sostanziali cambiamenti nell’attuale organizzazione di alcuni settori e nella
regolamentazione. Bandisco il termine “riforma” perché troppo inflazionato e
legato ad una serie ripetuta di riforme prive di reali contenuti. Si tratta di
cambiamenti sostanziali, che dovrebbero essere preceduti dall’individuazione
degli obiettivi da raggiungere e dalla loro esplicitazione. (3)
In un Paese come il nostro, basato sulla
democrazia, non si può fare a meno di cercare l’accordo di una larga
maggioranza della politica, se non sui dettagli, perlomeno sui
principi. (4) Principi necessariamente modificabili sia per il mancato
raggiungimento degli obiettivi sia per eventuali modifiche del contesto di
riferimento.
2.
Spesa pubblica.
In materia di spesa, ritengo sia indispensabile
sottolineare che la qualità viene prima della quantità. Ragionevolmente,
dovendo limitare il livello delle spese, non si possono eliminare o limitare le
spese produttive e gli investimenti rispetto a quelle improduttive: sarebbe un
suicidio economico. Un’azienda che mirasse a ridurre gli investimenti (tecnici,
informatici e nella ricerca) e non aumentasse il livello di produttività con la
riduzione degli sprechi (non necessariamente della compagine del personale)
sarebbe nel tempo destinata a uscire dal mercato.
Ciò premesso, quanto costano gli apparati burocratici
centrali e periferici dello Stato (e delle Organizzazioni internazionali), e
non solo quelli amministrativi ma soprattutto quelli decisionali (parlamentari,
politici, ecc.)?
È
veramente necessario mantenere la pletora di cariche pubbliche attuali e il
loro altissimo costo, immediato e futuro, specie con riferimento al trattamento
previdenziale di cui godono queste posizioni?
Atteso che si sono ora sovrapposte altre strutture
decisionali europee, con i relativi costi, non sarebbe opportuno ridurre quelle
nazionali? È ancora veramente necessario un sistema bicamerale?
E, inoltre, non è il caso di strutturare il
bilancio dello Stato in modo che sia possibile seguire con più immediatezza
l’andamento e la composizione della spesa, e che possa servire a misurare
effettivamente e con la dovuta sintesi l’attività e l’efficienza dei singoli
comparti della pubblica amministrazione?
3.
Livello di produttività.
Rivolgendo lo
sguardo al futuro, ho la netta sensazione che se a livello nazionale (e non
solo) non ci si dà una regolata, si potrà andare incontro ad un sensibile
ridimensionamento del tenore di vita individuale e collettivo, ampliando ancora
di più il divario fra il numero dei magnati e di coloro che non dispongono di
un reddito minimo di sussistenza.
La
globalizzazione non è più un fenomeno in corso di realizzazione, essa si è già
concretizzata ed esplica i suoi effetti a livello sociale, politico ed
economico.
Il
livello di concorrenza, anche con riferimento alla forza lavoro, si va sempre
più estendendo da un ambito locale ad uno internazionale.
Ciò significa che tutti dobbiamo capire che è
arrivato il tempo di essere più modesti e che non si può più, almeno per un
certo tempo, pretendere la continua crescita degli appannaggi e delle
remunerazioni. E quando dico tutti, non escludo nessuno, dal Presidente della
Repubblica agli altri esponenti politici; dai super manager agli artisti e agli
sportivi; dagli industriali ai dipendenti, eccetto quelli con livelli
stipendiali più bassi. Anzi, nei casi più abnormi è tempo di pensare a delle
riduzioni dei costi. (5) Sotto questo aspetto ritengo possa essere molto
indicativo l’esito dei recenti campionati europei di calcio. Non è improbabile
che come nel calcio anche in altri settori possa avvenire che l’eccellenza non
corrisponda, come dovrebbe essere, a chi percepisce i maggiori profitti.
Il livello di produttività va inoltre recuperato
facendo in modo che i singoli cittadini contribuiscano al bene comune con
comportamenti virtuosi. E per ottenere ciò è necessario un ribaltamento totale
della filosofia di gran parte del nostro sistema normativo, che di fatto
prevede vantaggi per chi elude le norme o si comporta disonestamente. Bisogna
instaurare un sistema che premi i comportamenti rispettosi della legge e tesi ad
assecondare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sociale.
4.
Un’ultima
considerazione.
Nella storia, alcuni fenomeni sono ricorrenti, come
la grandezza e il successivo declino di molti popoli e nazioni. Nessuno di
essi, infatti, è rimasto grande e potente per sempre. Spesso, poi, la
preminenza politica ed economica è diretta conseguenza della coesione del
popolo su obiettivi condivisi e dell’impegno dei singoli nel voler strenuamente
contribuire al raggiungimento di tali obiettivi. Come, all’opposto, la lassezza
e il decadimento dei costumi sono stati sempre la causa del declino.
In particolare, nel nostro Paese c’è una
connotazione peculiare che, nonostante il forte connotato individualistico
nazionale e nonostante l’incoerenza di alcuni ministri della Chiesa, è data
dalla larga condivisione dei più alti valori del Cristianesimo, testimoniato
dal gran numero di chiese.
Sono convinto che nel cammino verso una società
sempre più multietnica, ci siano due alternative: a) riscoprire e riconoscersi
nei valori etici storici tradizionali; b) accordarsi rapidamente su modelli
sociali alternativi, largamente riconosciuti. E fra le due alternative, non c’è
dubbio che una si fondi su un passato di valori consolidato, mentre l’altra su
una ricerca che rende più complesso il tessuto sociale.
In ogni caso, le nazioni nelle quali è più sentito
lo spirito di appartenenza, e maggiore risulta la coesione, avranno un indubbio
vantaggio competitivo su quelle che ne sono prive, le quali faranno registrare
un ulteriore ridimensionamento del tenore di vita.
R. Messina
(1)
Non quindi assoluta, ma tale da evitare criticità
nelle ricorrenti avversità naturali e di carattere economico-finanziario.
(2)
Il problema è più complesso di quanto si possa
immaginare. Consideriamo il numero delle persone viventi che negli ultimi
cinquanta/sessant’anni hanno avuto problemi di giustizia di un certo rilievo. È
un numero insignificante? Non ne sono convinto. Inoltre quando un delinquente
viene condannato, i familiari che vivevano dei suoi proventi si dedicheranno
forse ad attività legali per sopravvivere? Queste due circostanze vanno tenute
presenti per introdurre opportuni interventi.
(3)
Ritengo si tratti di un punto fondamentale. L’art.
1 di un qualunque provvedimento legislativo o regolamentare dovrebbe indicarne
lo scopo che intende perseguire. Considerate poi le possibilità offerte
dall’informatica, si dovrebbero evitare rimandi ad altre norme senza riportare
il testo del provvedimento richiamato ovvero modifiche di singoli articoli
senza riportare il testo integrale dei provvedimenti modificati.
(4)
È sull’esplicitazione dei principi e degli
obiettivi, e sul raggiungimento degli stessi, che i cittadini dovrebbero
manifestare il loro consenso agli uomini e ai partiti politici.
(5)
Non in senso strettamente letterale: è necessaria
però una maggiore correlazione fra prestazioni, risultati e retribuzioni, anche
con riferimento al mercato internazionale.