Articolo sul n. 82 di “Dirigenza Nuova”, Gennaio 2005.

 

Di un’ipotesi teorica sull’avanzamento in carriera del personale.[1]

 

Per formulare una qualunque ipotesi sui criteri di avanzamento del personale in un contesto lavorativo, bisogna imprescindibilmente partire da un’analisi che porti ad individuare le caratteristiche che si ritiene possano essere elemento di successo nelle attività che i nominativi da valutare saranno chiamati a svolgere.

 

Poiché lo scopo di questo articolo non è quello di risolvere compiutamente il problema quanto quello di indicare una possibile metodologia per addivenire alla soluzione dello stesso, le considerazioni che seguono non devono essere intese come esaustive ma, piuttosto, come esemplificative o come base da cui poter iniziare un eventuale approfondimento.  

 

Preliminarmente, per sottolineare la centralità delle risorse umane in qualunque contesto aziendale, riporto il senso di un’affermazione fatta da un relatore, in una recente occasione, con riferimento alla competitività e in particolare al massiccio ingresso sul mercato della potenza cinese: “in un processo aziendale tutto può essere facilmente copiato e riprodotto, fuorché l’elemento umano”.

 

Capacità necessarie per ricoprire i vari ruoli

 

Le capacità richieste per ricoprire i diversi ruoli sono mutevoli sia in relazione ai ruoli stessi sia in relazione al trascorrere del tempo e al modificarsi delle circostanze e, pertanto, è necessario che periodicamente si dia luogo ad un esame delle conclusioni cui si è comunque pervenuti per verificarne la rispondenza e l’attualità.

 

In ogni caso si potrebbe distinguere fra elementi base e elementi di contesto.[2]

 

Riferendoci al periodo presente, potremmo individuare fra gli elementi base:

Ÿ bagaglio professionale e culturale

Ÿ conoscenze linguistiche

Ÿ conoscenze informatiche

Ÿ affidabilità

Ÿ capacità di trasfondere il proprio bagaglio culturale nel concreto dell’attività lavorativa

Ÿ capacità relazionali

Ÿ attitudini

Ÿ tratti personali (esaminati dai due punti di vista: aspetto esteriore e personalità)

Ÿ qualità e peso delle prestazioni lavorative

Ÿ moderazione nella rappresentazione delle proprie istanze personali

Ÿ capacità di risolvere situazioni non standard

Ÿ integrazione nel lavoro di gruppo.

 

E fra quelli di contesto:

Ÿ disponibilità alla mobilità territoriale, nazionale e internazionale

Ÿ disponibilità ad utilizzi flessibili e variabili nel tempo.

 

Partendo da tali criteri (si ripete, non esaustivi) si può sviluppare una metodologia di ampio respiro, che tenga conto di tutto il periodo richiesto per passare da un grado all’altro, utilizzando diversi e pre-individuati momenti valutativi che in parte incorporano quelli già in essere e in parte ne prevedono di nuovi (nell’esempio che segue si ipotizza un periodo di cinque anni)[3]:

 

Ø I anno: valutazione dell’apporto lavorativo e di quella parte delle caratteristiche di base immediatamente percepibili;

Ø II anno: idem come sopra, con l’estensione a tutte le caratteristiche di base[4], più intervento valutativo di una società esterna specializzata (tale ultimo intervento sarebbe teso, inoltre, ad individuare gli utilizzi che esaltino le potenzialità del candidato nonché a fornire indicazioni per eventuali interventi correttivi della valutazione lavorativa in caso di utilizzi palesemente impropri);

Ø III anno: valutazione delle componenti di base più prova scritta;

Ø IV anno: valutazione delle componenti di base più prova orale individuale;

Ø V anno: valutazione delle componenti di base più valutazione degli elementi di contesto (disponibilità alla mobilità e alla flessibilità) più (eventuale) prova collettiva di gruppo.

 

La valutazione complessiva, quindi, scaturirebbe da:

a) una previa parametrazione sia degli elementi oggetto di valutazione sia dei diversi momenti valutativi;

b)sommatoria dei risultati ottenuti nei singoli anni valutativi (risultati tempo per tempo comunicati ai candidati);

c) attribuzione di un ulteriore punteggio aggiuntivo da parte dell’Amministrazione che possa tener conto di particolari esigenze gestionali o di altre circostanze non facilmente prevedibili.

Gli avanzamenti verrebbero poi determinati sulla base delle posizioni disponibili.

 

Le diverse generazioni di nominativi promuovibili

Ovviamente poiché non è ipotizzabile la promozione per tutti i candidati, si porrebbero problemi di sovrapposizione per le diverse generazioni di nominativi promuovibili.

Tale problema potrebbe essere risolto, in modo statico, attribuendo ai dipendenti “più anziani” il punteggio delle caratteristiche base e di contesto scaturente dagli ulteriori anni di attività (nell’ipotesi il sesto, il settimo e così via) che, comunque, potrebbe anche essere assoggettato ad un peso via via meno marcato dei primi cinque, oppure in maniera dinamica, consentendo anche a tali candidati di poter ripetere una delle prove aggiuntive di valutazione (prova scritta, colloquio orale, prova di gruppo).

In ogni caso, poi, con cadenze almeno quinquennali e con l’apporto se del caso anche di consulenti esterni, dovrebbe essere verificata la validità del processo di selezione in relazione ai risultati che si volevano conseguire.

In definitiva l’efficacia del sistema sarebbe provata da una circostanza che comproverebbe il raggiungimento dell’obiettivo prefissato: il fatto che, statisticamente, nelle posizioni di maggiore responsabilità siano stati effettivamente impiegati i dipendenti in grado di assicurare per attitudini, capacità, caratteristiche e impegno professionale, più di altri, le migliori performance all’Istituto.

Ovviamente la ricerca di un’effettiva efficienza aziendale renderebbe auspicabile che una verifica del genere sia posta in essere con qualunque sistema di valutazione in atto.

E’ normale, infatti, che qualunque processo aziendale sia sottoposto periodicamente a verifica per poterne riscontrare la validità; ovvero per prendere atto della necessità di apportarvi delle modifiche.

Nello specifico l’esperienza personale, anche ispettiva di vigilanza, mi porta ad affermare che le migliori performance aziendali sono state raggiunte in quegli ambienti dove le persone giuste erano al posto giusto e, ancor più, laddove la percezione di tale circostanza era quanto più diffusa oltre che nei vertici aziendali fra gli altri dipendenti.

                                                                                                  Rocco Messina

 

 

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[1] Bibliografia: assente. Le osservazioni contenute in questo articolo sono frutto di una naturale predisposizione dell’autore ad organizzare in modo economico le proprie attività nonché del vaglio critico a cui, in trent’anni di appartenenza all’Istituto, è stata costantemente sottoposta l’attività lavorativa svolta.

[2] Anche questi sono soggetti nel medio-lungo periodo a mutevolezza, nel senso che alcuni elementi possono nel tempo passare da una categoria all’altra.

[3] L’ipotesi potrebbe riferirsi, ad esempio, al personale da Coadiutore in su; i principi, tuttavia, sono validi, con le dovute semplificazioni, anche per gli altri gradi.

[4] La valutazione aggiornata delle caratteristiche di base diverrebbe poi una componente fissa anche per gli anni successivi.