Economia 2005
Inviata ad un settimanale il 7 giugno 2005 (non è stata pubblicata).
Caro Direttore,
ti invio questa lettera, che contiene alcune
riflessioni generali in tema di economia, per l’eventuale pubblicazione
nei tuoi “colloqui” che, notoriamente, si occupano di altro.
Premetto che sono un semplice ragioniere, che non
appartengo a schieramenti politici di sorta, che non sono uno studioso di
economia e nemmeno un grande lettore; sebbene per lavoro sono costretto a
leggere una notevole mole di documentazione economico-finanziaria. Non credo mi
manchino, però, uno spiccato senso critico, l’indipendenza di
giudizio e l’onestà intellettuale.
Da dove nascono i problemi che si affacciano
all’orizzonte della nostra economia nazionale? Il discorso non vale solo
per il nostro Paese ma, con qualche distinguo, anche per gli altri paesi
occidentali o occidentalizzati.
Fino a qualche anno fa il destino del mondo, economico
e no, era in un certo modo fortemente condizionato dalle potenze e dalle
culture occidentali; erano esclusivamente esse a dettare i tempi, i modi e,
soprattutto, le regole dell’economia. In ciò forti del fatto di
poter vantare cervelli, conoscenze, tecnologie, risorse, prodotti, sistemi di
governo, procedure e tenori di vita più avanzati delle nazioni
rimanenti. Inoltre, i modelli a cui si sono uniformati i paesi industrializzati
hanno mirato, tra l’altro, a: limitare le nascite; proporre il successo
individuale come modello di riferimento; esasperare il tornaconto personale;
favorire l’arricchimento delle classi più abbienti, ampliando il
divario con le classi più deboli; creare monopoli di fatto nella politica,
nelle università, nella cultura, nell’informazione,
nell’impresa e in molti altri aspetti della vita sociale.
Ora, tutto
ciò ha funzionato, e bene, fin quando non sono spuntati, quasi
inaspettati perché sottovalutati negli approfondimenti economici
più diffusi, modelli di confronto di tale portata da non poter essere
più ignorati o relegati in posizioni marginali. Mi riferisco soprattutto
alle realtà di Cina ed India: due paesi che da soli assommano a circa la
metà della popolazione planetaria! E che, inoltre, cominciano ad avere
un peso nell’economia mondiale tale da porre in serio pericolo le
posizioni di privilegio nelle quali i restanti paesi occidentali, a livello
individuale e di insieme, si erano adagiati.
Il più grande vantaggio di questi due paesi
è la quantità della popolazione, che comporta: più ampie
risorse umane; un numero inimmaginabile di cervelli; più estesa
competitività; maggiori vantaggi derivanti dai flussi migratori e un
enorme bacino per lo sviluppo dei consumi interni. A ciò si devono
aggiungere i formidabili progressi raggiunti in campo tecnico-scientifico e a
livello di infrastrutture; progressi dovuti anche a processi decisionali
spediti e ad un sistema normativo forse fin troppo “allegro”, ma
privo delle ridondanze e delle inutili complessità dei sistemi
occidentali.
Da un punto di vista economico e sociale, non bisogna
mai dimenticare quello che è stato vero da quando l’uomo è
apparso sulla terra (e che i contadini sanno molto bene): quello che si
raccoglierà domani dipende dalla semina di oggi. Se si trasferisce il
concetto all’educazione, alla politica, ai rapporti umani e
all’economia, si può capire quanti errori, in virtù
dell’allentamento dei costumi, sono stati fatti negli ultimi anni.
ll fatto
che, specie in alcuni ambienti e settori piuttosto che in altri, ci si sia dati
alla bella vita comporterà, con buone probabilità, una
conseguenza molto seria: per e nei paesi industrializzati sarà molto
difficile che il tenore di vita possa continuare ad aumentare; perlomeno con i
ritmi degli ultimi cinquant’anni. Al contrario, forse si va incontro ad
un futuro in cui potremmo vedere ridimensionate le nostre aspettative
economiche. Ovviamente ciò non varrà per tutti, né
è possibile prevedere quando il fenomeno si manifesterà
più diffusamente.
Da più parti si indica come una possibile via
d’uscita quella di puntare verso lo sviluppo della ricerca scientifica,
l’innovazione di prodotto, l’innalzamento della qualità. Ma
io non sono sicuro che, nel tempo, anche questi, che costituiscono degli
indubbi vantaggi competitivi, non possano essere colmati da parte dei paesi
emergenti.
Se, dunque l’analisi è vicina alla
realtà dei fatti, cosa si può fare?
È necessario cominciare a parlare seriamente
del futuro. Le pur autorevoli voci che si sentono in giro non sono del tutto
convincenti. Le analisi prodotte non sono mai a trecentosessanta gradi:
risultano in qualche modo condizionate da interessi specifici o particolari.
Al punto in cui sono le cose, non è più
questione di schieramenti di destra, di sinistra o di centro; né di
quanto affermano le confederazioni imprenditoriali o sindacali; né i
centri studi dei diversi enti e, nemmeno, in certi casi, le istituzioni europee
e mondiali (anch’esse sinora hanno dimostrato di essere governate da forze
trasversali che ne condizionano il corretto funzionamento).
Qui è questione di ciò che è
corretto fare! E di farlo tutti assieme o, più realisticamente, con una
convergenza elevata.
È necessario spostare l’enfasi dalla
crescita (del Pil e della produzione), ritenuta metro irrinunciabile per la
misurazione dello sviluppo economico, al modello socio-economico
verso cui si vuole tendere e alla sua sostenibilità complessiva: mentre
si sta correndo ci si deve pur chiedere verso quale direzione si sta correndo;
e perché!
È necessario tendere a:
a) bloccare la crescita degli appannaggi; a cominciare
dalle categorie più privilegiate (sportivi, artisti, politici, managers,
magistrati, alti burocrati, ecc.). Sarebbe un grande segnale per fare in modo
che anche le altre categorie progressivamente si possano accontentare di
rendite meno elevate; salvo, ovviamente, aumentare i redditi di chi soddisfi
due condizioni: 1) essere realmente a livelli minimi di sussistenza; 2) poter
dimostrare di essersi attivato per non volervi rimanere (o non essere in
condizione psico-fisiche per poter migliorare).
b) compensare il minor reddito individuale con strumenti
ed iniziative tesi a migliorare, a livello sociale, la qualità della
vita;
c) fare un’analisi reale e completa delle debolezze
attuali e prospettiche del sistema economico-sociale;
d) in relazione a tale analisi, individuare un modello
sociale ed economico, verso cui tendere nel medio-lungo periodo, che precisi
gli obiettivi, le risorse, i settori d’intervento, gli strumenti di
verifica, i tempi, le politiche e quant’altro necessario per
raggiungerlo.
Da un punto di vista metodologico, infine, per non
provocare tensioni e difficoltà sia per i singoli che per le
istituzioni, si dovrebbe prevedere un lasso di tempo ed una certa
gradualità fra la diffusione dei programmi e la loro convinta
attuazione. Ciò, infatti, darebbe modo a ciascuno di poter rimodulare e
organizzare la propria posizione e le proprie risorse in relazione alle mutate
prospettive.
Cordiali saluti.